Troppo spesso, nelle situazioni di difficoltà con i propri figli, genitori o adulti di riferimento tendono a parlare del problema con il bambino stesso, nel disperato tentativo di risolverlo. Vengono utilizzate perlopiù spiegazioni razionali o lunghi monologhi volti a far ragionare il bambino sull’accaduto, come se questo potesse realmente arrivare alla logica sottostante i propri e gli altrui comportamenti.
In un’età che potremo definire “prima infanzia”, pretendere di spiegare i propri comportamenti in termini di causa-effetto è a dir poco utopico.
I bambini vivono soprattutto di simboli, storie, figure e giochi. Utilizzare un linguaggio diverso, perlopiù logico, significa faticare ad entrare in relazione con loro e, soprattutto, inibire la loro ricerca di significato, la loro curiosità, la loro scoperta. E non solo. Per ogni bambino l’attività prevalente è la ricerca di attenzione da parte dell’adulto. Ricevere attenzioni, al di là di una motivazione precisa, con lunghe e dispendiose spiegazioni, rende qualsiasi comportamento particolarmente utile e, in questo senso, facilmente ripetibile.
Ormai sempre più spesso incontriamo mamme o papà che lamentano “più mi sforzo di spiegargli che è sbagliato, meno ottengo!“.
Il modo di comunicare e relazionarci con i nostri bambini definisce e qualifica inequivocabilmente i contenuti del nostro messaggio, e non il contrario. Strategie e stratagemmi che consentano al genitore di pianificare determinate scoperte ai propri figli sono risultati molto più efficaci ed efficienti di tante presuntuose spiegazioni. D’altronde, se i bambini fossero in grado di capire ed arrivare subito alle ragioni, non avrebbero bisogno di essere educati.
Nov 15 2013