ll trattamento indiretto è un tipo di intervento psicologico che prevede l’utilizzo di uno o più membri della famiglia o del partner come vera e propria leva di cambiamento e come risorsa principale per promuovere o ripristinare una situazione di benessere del “paziente designato” che non vuole prender parte alla terapia o si rifiuta di essere aiutato.
Spesso, l’azione indiretta di una terapia efficace promuove un effetto benefico non soltanto sul paziente designato, ma anche sull’intero sistema implicato (famiglia, coppia, lavoro).
Oltre ai casi in cui si presentano in terapia genitori o familiari di un paziente particolarmente resistente e che non vuole prestarsi alla seduta, la terapia indiretta può anche essere conseguenza di una vera e propria scelta terapeutica.
Come già ampiamente dimostrato dalla letteratura, etichettare una persona con una diagnosi più o meno precisa, significa strutturare il sistema ed i loro membri secondo modalità ancor più allineate a tale etichetta. La terapia indiretta consente, quindi, di prevenire il rischio di sommare ad un problema già presente, l’etichetta diagnostica di una possibile patologia che anziché risolvere il problema lo potrebbe solo aggravare. Ad esempio, un bambino non dovrebbe esser etichettato, né come difficile, né come problematico. Tali diagnosi non farebbe altro che allarmare l’intero sistema scolastico e familiare, fino a promuovere pattern allineati a tali etichette e a incrementare nel paziente designato ulteriori comportamenti “problematici”. La profezia tenderà ad auto-avverarsi.
Diversamente, non venendo fisicamente in terapia, il bambino difficilmente potrà sentirsi problematico e non sarà quindi esposto all’indagine del professionista. Anzi, il destinatario indiretto dell’intervento potrà, come per magia – attraverso i nuovi pattern comportamentali dei genitori (o di chi per loro) guidati dal terapeuta – esser indotto a cambiare modalità percettive e reattive.