“Ricondurre qualcosa di sconosciuto a qualcosa di conosciuto solleva, tranquillizza, appaga, e dà anche un senso di potenza. Con l’ignoto si ha anche il pericolo, l’inquietudine, la preoccupazione, il primo istinto è quello di abolire queste spiacevoli sensazioni“.
Tratto da “Filosofare con il martello” di F.Nietzsche
Cosa c’è di più spaventoso dell’ignoto, del non-conosciuto?
Le risposte a questa domanda possono sembrar banali, ma per la stragrande maggioranza delle persone lo stato d’incertezza è intollerabile. Anzi, spesso l’intolleranza raggiunge livelli tali da condurre la persona a dover prendere una decisione o una posizione che possa comunque fornire una spiegazione dell’accaduto. Molto spesso, tale spiegazione non ha lo scopo di spiegarci razionalmente l’andamento degli eventi, quanto piuttosto di dare un senso di rassicurazione al nostro desiderio di capire lo stato delle cose, soprattutto delle cose che non siamo riusciti a controllare.
Molti studi – alcuni dei quali condotti da M.Erickson – hanno dimostrato come, di fronte a stati di confusione, incertezza, caos, indecisione, la persona reagisca adottando la prima spiegazione accessibile (ritenuta grossolanamente valida) per cercare di sopperire alla sensazione di paura. Basti pensare a quante volte tendiamo a “raccontarcela” o ad autoingannarci di fronte a eventi o situazioni che non possiamo o non vogliamo conoscere/affrontare per come sono.
E’ la percezione delle cose che influenza direttamente la nostra costruzione di realtà e comportamenti, frutto dell’interazione con l’ambiente e, soprattutto, della necessità di costruire significati e credenze che siano più funzionali possibile. Di fronte a certi stati di preoccupazione e inquietudine promossi dall’ignoto, il desiderio irrefrenabile di conoscenza e controllo delle situazioni promuoverà comportamenti volti ad un’unica-grande “funzionalità”: ridurre immediatamente la paura.
Con le parole di Nietzsche: “una spiegazione qualsiasi è meglio che nessuna spiegazione“.